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martedì 27 agosto 2013
LASSU' AL LAGO
Com’è – e cos’è – questo Top of the Lake passato quasi inosservato? E’ qualcosa che non potete farvi mancare. Se Twin Peaks fosse oggi, si anniderebbe proprio qui, nella misteriosa (e fittizia) cittadina di Laketop, Nuova Zelanda, dove Elizabeth Moss diventa Dana Scully. E fine dei paragoni, l’unica altra magia che troviamo appartiene alla Natura, regina incontrastata della regia di Jane Campion.
La miniserie di 7 episodi è, a dire il vero, più un lungo film piuttosto che un prodotto televisivo. Tanto che al Sundance Festival è stato proiettato non-stop in un’unica giornata (prima serie ad avere l’onore, ma dopo tutto è un prodotto del nuovo canale Sundance Channel – ops!) e che in questi giorni è in corso una maratona in onore delle 8 nomination ottenute agli Emmy.
Un prodotto così, qualche premio se lo porterà a casa. Lento ma sorprendente, è un profondo trattato sugli esseri femminile e maschile, sui loro contrasti ma anche sul bisogno reciproco, fino a una ricerca del Sè che diventa impulso primario di sopravvivenza. A partire da Tui, dodicenne rimasta misteriosamente incinta, la trama si dipana come un filo che passa per Robin (E. Moss, detective incaricata del suo caso), Matt Mitcham (lo strano padre di Tui), la Comune di donne guidata dalla visionaria G.J., e l’intero sistema maschilista/repressivo della cittadina. Dove nessuno è al di fuori di ogni critica o debolezza.
L’ideale sarebbe guardarlo al cinema – intanto il 19 agosto è uscita l’edizione inglese in DVD. Buona visione!
da: Toylet.it
lunedì 2 aprile 2012
L'ottimismo dei classici
Leggere i classici serve eccome. Anche davanti ad un cartone
(o anime, che fa più nerd e meno
infanzia) cuccioloso come Il cuore di Cosette, traduzione
italiana immancabilmente infantile de I miserabili: la giovane Cosette.
Già, I
miserabili di Victor Hugo. Quel mattone capace di spaventare orde di
studenti. Quel libro fantastico che mi ha fatto adorare uno scrittore capace di
avvincerti con 100 pagine sulle fogne di Parigi. Il piacere è stato istantaneo.
Si parlava a tempo perso del nuovo cartone su Italia Uno la
mattina presto: l'ennesima orfanella maltrattata dai genitori adottivi e dalle
sorellastre, che però guarda sempre con un sorriso e del sano ottimismo alla
vita. Anche quando la bastonano (cit. marnie). Disegni attuali, e solo un
fugace ricordo agli intrattenimenti di quando eravamo bambini.
Poi si scopre che uno dei personaggi è Jean Valjean: link
diretto al file, interesse spedito alla vicenda. Chi è Cosette? Perché è
protagonista? Sarà davvero quella vecchia storia, ad essere raccontata?
Ebbene sì. Tralasciamo gli amichetti della bambina, il
linguaggio stupidamente pomposo, gli episodi alla Lovely Sara, il cane
gigante alla Belle et Sébastien. Il punto di vista è ribaltato, non si parla
di Jean ma di Cosette. E sapete cosa? Ha perfettamente senso. Corro a ripassare
l'intreccio, cerco di ricordare, ed ecco che il fil rouge di tutto il racconto è l'orfanella sventurata: grande merito
agli sceneggiatori.
E poi c'è questa immagine: primo episodio, finale. A Cosette,
4 anni, viene data una scopa enorme per ramazzare. Altro che Cenerentola, il
passaggio è scarno e veloce, e non lascia il tempo di piangere una sola
lacrima, anche se è così brusco che ne percepisci l'orrore. Corri allora a
cercare su Wikipedia, ed ecco l'immagine corrispondente, quella già famosa di Ѐmile
Bayard. Stupefacente. E' come se ciò che guardiamo oggi, con occhi abituati a
stupide storie e riciclaggio dell'inutile, riacquistasse tutto il suo senso: le
immagini si parlano fra loro, i media si rincorrono, la nostra fantasia non si
esaurisce mai.
mercoledì 14 marzo 2012
Loro sì che riescono ancora a sorprenderci
E' giunto il momento dell'ennesimo video degli Ok
Go, Needing/Getting. Di loro si parla
solo per questo, no? Se ripenso al primo esperimento, a cosa ha rappresentato,
per il mondo del videoclip, non posso che pensare di prostrarmi ai loro piedi
per quell'enorme coerenza che dimostrano e per la loro crescita in termini di
intenti e Ricerca con la "r" scritta proprio così.
Dopo il video
che distruggeva le regole dell'artificio (camera fissa, tapis roulant e tanta inventiva), e dopo aver sperimentato con le
possibilità optical dei colori su schermo con WTF,
si arriva al secondo grado d'evoluzione: This
Too Shall Pass nella sua versione "macchina di Rube Golberg" è
una gioia per chiunque, condiviso a manetta su tutte le paginette facebook gridando
al capolavoro (34 milioni di visualizzazioni contro le 12 di Here It Goes Again, tanto per dire).
Continueranno poi rimaneggiando la stessa idea: colori American Apparel per End
Love, o (quelli che si scriverebbe) #canicarini per White
Knuckles, e via così con la forza delle coreografie accattivanti.
Oggi però siamo al terzo stadio. Se prima la forma visiva
distraeva un bel po' da quella musicale (anzi, diciamolo: del tutto), qui siamo
alla fusione completa. E' il video che fa sgorgare la musica. Avevamo già avuto
dei timidi accenni, delle idee sparse qua e là, con This Too Shall Pass e White
Knuckles. Ora siamo alla consacrazione. L'idea di un'auto che si suona da
sola, e che suona oggetti, durante il suo percorso, è straordinaria. Note di
produzione segnalano i 1.000 strumenti musicali usati, i 2km di percorso, e il
record di visualizzazioni in un giorno. Ma direi di guardarsi, semplicemente,
il backstage. Dirà tutto.
Quello che stupisce è la poca risonanza, visto il progetto,
avuta nell'ultimo mese. Quasi come se ci fossimo abituati nel farci stupire
dagli Ok Go, e il loro gioco non fosse più capace di sorprese. Bene, signori
miei: è il caso di riaprire gli occhietti e ricominciare a pensare al
fantastico rapporto vista-udito. Un'unione che non smette mai di sorprendere.
venerdì 9 dicembre 2011
Conigliette femministe?

Zampettare troppo per il popolato palinsesto televisivo alle volte fa più male che bene. Si finisce per diventare troppo esigenti. Ricercare riferimenti trame citazioni riprese fotografie musiche attori sceneggiature che sbalordiscano sempre più, ancora una volta, e via fino all'infinito.
Ciò non è male. Ma certe volte fa bene anche fermarsi, e godere del presente.
The Playboy Club è una serie senza pretese, classica, eppure stuzzicante. E' per questo che è stata interrotta dopo il terzo episodio. Dei cinque girati, gli ultimi due saranno i più preziosi, epici, introvabili. Presto scatterà la caccia al tesoro e si parlerà della serie come del lavoro mai compreso di un autore, Chad Hodge, mai uscito davvero dalla sua nicchia.
Lo stato della serie è ancora un sibillino "in lavorazione", l'unica speranza è che la faccia in barba ad altri esimi colleghi dalla fortuna meno comprovata...
In The Playboy Club c'è una speciale attenzione alla restaurazione storica, una cura del dettaglio - dal sonoro all'abito e al contorno sociale - che stimolano subito rispetto. La trama può non essere terribilmente originale, ma diventa subito godibile, avvincente a modo suo - e soprattutto: quante possibilità le ha dato il temibile share?? Poche, ahinoi.
Resta un'opera monca, triste nella sua incompiutezza. Reclamo qui a gran voce le ore che ho voluto dedicarle - assieme a quelle che sarebbero seguite: voglio ancora sognare le dolci e tristi conigliette, uccise dall'alleanza di un femminismo fuori moda e di una realtà che oggi (povere noi!) è ben più avvincente della finzione.
The Playboy Club, per chi è ancora capace di sognare. Senza troppi fronzoli.
martedì 16 agosto 2011
It won't be that easy, bitches

Non sarà così facile. No. Una trama non è, ma soprattutto non deve, essere troppo facile. Tanto più se stiamo guardando con gusto una serie che mette in scena un bel thriller adolescenziale.
L'idea è accattivante: ci sono 5 amiche, una scompare, poi è morta, e nel frattempo manda messaggi minatori alle sue best friends, firmadosi "A" come la defunta. Ah, com'è difficile essere BFF di questi tempi! Sotterfugi, segreti e bugie: un buonissimo condimento. E per di più, si rispolvera un vecchio tormentone: "Chi ha ucciso Laura Palmer? Chi ha ucciso Alison?". Chi è A?
Ah, dimenticavo: siccome l'occhio vuole la sua parte, vestitini ultima moda, trucco e accessori impeccabili, cellulari onnipresenti. Gossip Girl (un po') insegna.
Non è, però, così facile, no.
Personaggi e storie abbozzate che poi scompaiono, nomi che ritornano l'ultima puntata e non sai da chi siano stati riesumati (chi diavolo è Garreth?? com'è che si diventa poliziotti a 16 anni?), intrecci amorosi banali (la storia insegnante-alunna: chi glielo dice che il problema è, tipo, anche il fatto di uscire con una minorenne??) o piantati a caso (Alex e Spencer: "ti lascio, non credi che io sia all'altezza della tua famiglia", "ma no, non ho mandato io la mail", "non ti credo", "ah, va bene") o paradossali ("sono accusata di omicidio, ma hei, trovo il tempo di uscire col mio nuovo boy!"). Forse sono io a non essere più spensierata e immatura come una teenager, o forse è la serie che, nel tentativo di guadagnare appeal, si perde qualche pezzo qua e là.
O forse ancora, sto montando una scenata perché alla fine della prima stagione speravo di scoprire chi è la fatidica A. In fondo il giallo c'è, la suspance è grande, e non so se resisterò a seguire altre 22 puntate di enigmi. Ma lascia un amaro in bocca, questo telefilm: è come vedere un remake di Twin Peaks, col difetto di sapere già come andrà a finire: un garbuglio di spiegazioni paradossali e paranormali, quando il capolavoro era la prima, inimitabile, autoconclusiva, prima serie. Un lungo, intenso film che alla fine deve trovare compimento.
Avrei preferito una maggiore aderenza all'originale, ma hei, siamo nel 2011 e non è mai tutto così semplice.
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