mercoledì 27 maggio 2009

Sapone vero



Prendi un giorno in cui faresti mille cose. Prendi il momento in cui hai un sacco di fantasia. Anja Plaschg, austriaca, scivola come sapone sulla pelle. Leggera ed eterea, dolce e insinuante, morbosa e fluttuante. La vedi su una webzine straniera che si esibisce alla tastiera, quel suono fatto di tasti ed elettricità: sussurra dolce e poi grida e poi ti strazia; e tu ti chiedi se capirai mai il suo essere così facile e inebriante allo stesso tempo. Suona il pianoforte con la stessa energia di Regina Spektor, ma è più oscura. È una Cat Power meno spigolosa. Sa fare voli pindarici e sognanti come le Amiina, ma non sale mai troppo alle nuvole. E’ industriale e spietata in DDMMYYYY, con le sue elettroniche asimmetriche e cupe. Piacerebbe ai fans degli Evanescence, ma volentieri darebbe loro la merda. Non mi piace fare considerazioni anagrafiche, ma leggere che Anja ha solo 19 anni abbina molti interrogativi su cosa significhi essere geni al giorno d’oggi. Se penso che in terra teutonica “pianoforte goth” vuol dire LaFee, mi stupisco che esista ancora chi sa trovare molto, molto di più da trasformare in note. Prendo una frase a caso: “So viel Pathos muss sein”, così tanto pathos è indispensabile. Mi piace travalicare i generi e chi è ancora capace di stupire. Chi non è classificabile.


Da Intro Magazine:

Perchè la sofferenza degli altri esseri umani è così bella da osservare? Lo sanno di sicuro Gala e Bild [riviste patinate tedesche]. Soap & Skin invece ce lo spiega in maniera diversa. Si dà alla sua arte e al suo pubblico senza esitazione - conserva però un impenetrabile mistero. Arno Raffeiner ha ascoltato il suo meditato silenzio a proposito del primo album.
Un paesino di mucche del 19esimo secolo. Un genio diventato adulto molto presto si perde nella solitudine, nella follia, nell’attrazione per la morte. Come unica possibilità di fuga rimane la musica: il forte richiamo e la potenza del tuono di centinaia di canne da organo. Questo genio, come racconta un libro venduto in milioni di copie alla fine del 20esimo secolo, “Le Voci del Mondo” (”Schlafes Bruder”***), si deve proprio chiamare Anja Plaschg.
Con l’unica differenza che la Plaschg non siede davanti all’organo di un’oscura chiesa, bensì alla tastiera nella sua cameretta, per diventare Soap & Skin, trovarsi nella posizione di scomparire dal mondo e diventare un’unica cosa col suo subconscio.
Timore, commozione, fascinazione, tutte conchiuse in uno sguardo profondo nei reconditi anditi dell’anima di un’artista tragica: rare volte è successo che l’era del Romanticismo sia stata trasposta nell’Oggi Digitale come nel caso di Soap & Skin.
La sua storia non è unica. E’ il vecchio caso del Wunderkind [bambino prodigio], che negli ultimi anni è stato applicato in molti, troppi casi. Nata nel 1990 a Steiermark, gioventù passata in un piccolo paese vicino ala fattoria dei genitori, lezioni di musica dai 7 anni, pratica al pianoforte come una fanatica fin da quando aveva 13 anni e le prime composizioni a 14, poi ha smesso con la scuola e a 16 si è cimentata con l’Accademia di Belle Arti di Vienna. In due anni e mezzo è uscito il suo primo pezzo per la Shitkatapult, che ha provocato lo sbalordimento di molta stampa - dai giornali locali passando per le riviste musicali fino alla più rinomata stampa quotidiana, tutti hanno concordato della grande novità. Così giovane, così talentuosa, così disperata!
Oggi Anja Plaschg è ancora 19enne e pubblica il suo primo, atteso album. Ne scriviamo senza clichèe (la diva tragica), senza dubbi (di essere voyeuristi, ma tentando di guardare comunque) e soprattutto senza troppo pathos. Parlare con lei del suo album non è per niente facile. La sua voce è spesso vicina all’assenza - se proprio dice qualcosa. L’atteggiamento che vaga tra il silenzio basito che si avverte dopo un’intervista con lei, e parole invece mostruose che cadono dalla sua bocca come se niente fosse, è un po’ unidirezionale. E’ come nella sua musica: più si riduce, più è intenso.

www.intro.de



*** “Schlafes Bruder” è un romanzo del 1992 dello scrittore austriaco Robert Schneider. La storia di Elias, un “freak” geniale che suona l’organo in maniera divina e che nell’oscura regione delle Alpi cattoliche del 19esimo secolo viene spinto al suicidio attraverso la privazione del sonno, è diventato un bestseller internazionale.

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