venerdì 3 ottobre 2008

Cantiere


La complessità della trama musicale non può essere resa coi mezzi usuali.
Milano, ultima data del tour estivo: un palco affollato, sette musicisti fra cui due tastiere e un polistrumentista, le basi campionate di cui non si riesce a fare a meno. La musica dei Baustelle è poliedrica e sfaccettata. E’ da ascoltare. Le voci si distinguono perfettamente ed è lì che si catalizza l’attenzione. Sulla figura vagamente nerdiana - ma si dice cantautoriale - di Francesco Bianconi e sul fascino della morbidezza di Rachele Bastreghi. Vieni rapito dalle parole, quei versi che sanno farsi ascoltare e quelle immagini di varia umanità su cui riflettere senza sosta…
Il pubblico è indefinibile, capita che qualcuno non capisca testi un pò più corposi di un pezzo da grande stadio (”L’aereoplano? E non c’è l’elicottero?”). Bianconi si lancia anche in battute umoristiche su banane e sposalizi ma non non ci può proprio far niente, è sempre così: non si scompone più di tanto, si nasconde dietro ad enormi occhiali da impiegato anni Settanta e lascia spazio alla collega quando è il caso.
Iniziano con Antropophagus all’insegna del nuovo album, quasi non credessero che tutta la gente che riempie il vasto Palasharp sia là per loro al di là del successo di Amen. Spiegano i vecchi brani: “questa canzone è nata per rimorchiare, e poi invece è diventata l’inno dei fans più filosofici”. E pensi che se dovessi essere rimorchiata così, bè: “L’unica cosa che ho / è la bellezza del mondo / La sola cosa che so / è che vorrei conservarla”… vai a rimanere impassibile.
L’atmosfera si fa sempre più paradossale, la tensione sale e parole potenti devono combattere con un ritmo trascinante che viene dal sottosuolo musicale. Raggiungiamo livelli di parossismo, perchè quando tutti quanti si alzano a ballare e saltano è proprio su La guerra è finita mentre si canta “Vivere non è possibile / Lasciò un biglietto inutile / prima di respirare il gas”. E forse si può scusare chi ha ballato pure su Il corvo Joe. Forse.
Ma quello che aspettavamo era il gran finale con Baudelaire. La coda elettronica si espande ben al di là della versione su disco e, mentre si riempie di suono e ritmo, sfocia nel rumorismo di Bianconi che, collegato al sintetizzatore, rimane solo sul palco come novello vate. Ricordandolo mentre poco prima allargava le braccia sorridendo poeticamente al suo grande scrittore. Amicizie intellettuali che sfidano la morte.
Sarebbe perfetto finire qua, ma un bis è d’uopo, pur se nella Milano di un lunedì che deve tornare a casa presto. Non ce ne vogliano i cari autori, ma la metropolitana si appresta a chiudere e domani ci si alza alle 7. Forse avremmo potuto prestare più attenzione al secondo Momento-Malinconia che apre con Un romantico a Milano e chiude ipso verbo su Andarsene così. E’ la fine del tour, ripete Bianconi, e si è un pò più malinconici. Ma è da tempo che a gruppetti ci si allontana sempre più dal palazzetto, ed è un peccato non rendere omaggio alla fila dei musicisti ormai schierati a bordo palco.
Luci accese, manifesti staccati, in corsa verso la macchina.



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