venerdì 14 novembre 2008

Chiara is...



Chiara è in macchina e sta ascoltando i Bloc Party pensando che l'ultimo album non sia poi così male: è stato giusto assecondare l'anima "disco".
Chiara seleziona le tracce che sono più in sintonia con il suo stato d'animo. Sono perfette per il viaggio e la lasciano sulla superficie proprio come vuole lei.
Chiara si immagina un intero videoclip per la canzone: parla di una ragazza che guida in tangenziale, poi ci sono dei flashback.
Chiara calma il suo nervosismo.
Chiara non dovrebbe essere così suscettibile.
Chiara andrà al concerto dei Dr. Dog e magari penserà ad altro.
Chiara però si chiede - semplicemente - perchè.
Chiara riflette sul fatto che abbia tutta l'ispirazione che vuole quando è triste. Però è molto bello sapere cosa scrivere, avere una direzione. Quindi non vede l'ora di arrivare per mettere giù le righe che sta pensando.
Chiara pensa troppo a se stessa in terza persona, soprattutto se le viene da quella cosa che è il Male.
Chiara trova bellissime, anche solo per stasera, Biko e Signs.
Chiara preleva per la seconda volta, ma sa che i soldi non danno la felicità. Solo le persone.

giovedì 6 novembre 2008

Rivivere cammuffati


Inizierei il disco dalla traccia nr.9 O Ein Dear: è lei il punto da cui si sviluppa l’intero Cheer Gone. Dopo, proseguire fino alla fine e poi ri-iniziare dalla numero 1.

Euros Childs è del Galles, il vecchio Galles. Antica terra celtica del sud, essa rivive cammuffata nei cuori dei nuovi cittadini britannici. Non è questo un disco traditional, quanto semmai una pacata passeggiata fra intimi pensieri su vita e natura (quanto segna l’animo quella frase “Even flowers in bloom one day must die”). La voce incaricata di rivoltarli verso l’esterno è una bassa monodia a tratti pure troppo lamentevole. L’architettura sonora, più che costruire cattedrali e monumenti, si ferma alle piccole capanne: chitarra acustica, una leggera percussione giusto per tenere il tempo, a tratti un soffice organo e se proprio vogliamo esagerare un’armonica a bocca. L’evento più accattivante è una Sing Song Song con tanto di banjo e vivace violino. Fedele alla propria terra, non può poi che assecondare il ritmo delle stagioni: prima traccia è Autum Leaves, seguita da Summer Days. E’ come se vivere al di fuori dello stato naturale fosse un’inutile forzatura. L’aggettivo che lo descrive appieno è tranquillo: nella musica, nel cantato, nell’atteggiamento. E’ capace di accompagnare una piacevole gita solitaria ai bordi della città senza forzarla. Nulla di più.
Altri episodi esterni a questo album (Y Mwnci Drwg, Billy The Seagull ) mantengono lo stesso sguardo sul mondo, pur se francamente molto strambo: andate a guardarli - ridetene anche un pò - e poi tornate a tuffarvi fra campi di grano e fiori che appassiranno.

Giocare la propria carta


Notizie scarse, sito ufficiale in costruzione, solo un oscuro album e curiose sessioni acustiche sulla pagina youtube della Cargo. E' Laetitia Sherif, cantante francese che ha cominciato a cantare testi di Yeats accompagnandosi da sola alla chitarra finchè non ha incontrato Oliver Mellano e Gaël Desbois (entrambi componenti del gruppo Mobiil. Andateli ad ascoltare, sono ancor più interessanti), coi quali nel 2004 ha pubblicato Codification - testi propri e un inglese impeccabile.

Non ha niente a che vedere con le tipiche cantautrici d’Oltralpe piene di sospiri e dolci arpeggi: qui ci si muove navigando in quel nuovo miscuglio che è la commistione di indie chitarroso ed elettronica gentile. Questo secondo disco gioca 12 carte che scommettono sul mondo del tutto particolare di Laetitia. Non per niente nel booklet troverete fogli sparsi (pericolo di perderli: molto alto), uno per ogni brano, sul retro l’immagine rivisitata di carte da gioco in versione “la morte è fra di noi”.

Games Over si presenta come disco buio. Sarà la copertina, o i suoni insieme eterei e scarnificati. E’ energetico, poi ipnotico, a tratti catartico. Si passa il tempo molto piacevolmente, rimbalzando fra riff semplici e incalzanti. Ci sono molte sfaccettature, echi di note à la Amiina fino al ritmo dei Ting Tings; un cantato ripetitivo e a tratti svaccato contrapposto a momenti intimi; passaggi delicati e testi arrabbiati.
Il mondo di Laetitia.

Let the beat control you


Il disco che non ha titolo, se non la grande O che racchiude il nome della band.
Ma il problema è un altro, ovvero l’anima del commercio. Pot Kettle Black e Alligator Skin sono le colpevoli, tracce trascinanti che istigano a comprare della birra o ad ammirare concupiscente l’auto più nuova e scattante. Possibile? Il dubbio rimane e se non lo sapessi non mi accorgerei neanche della più grande attrattiva di questa band: la percussionista tiene il tempo ballando il tip tap. E infatti appaiono pezzi come Dust Me Off e Falling Without Knowing, molto eterei e meno caciaroni ma dotati di un trasporto che non manca di colpire nei sensi. Finisce inevitabilmente che vuoi anche tu la pedana su cui si dimena ammaliante la tap dancer Jamie. Fermarti sui colorati video delle loro performance. Andare avanti a canticchiare “Pot kettle! pot kettle black! / Talk that! talk that smack!”.
L’ultimo atto si consuma con Beat Control. Guardate il video girato autonomamente dai bambini della Grade Four International Class: semplice nelle coreografie come il brano è semplice nel ritmo e nell’amalgama. E si finisce così, canticchiando allegri e pensando: “Sì. Lascia che il ritmo ti controlli”.

mercoledì 8 ottobre 2008

Una musica ritrovata?





Ricordo la vecchia Elisa, quella che sorprendeva muovendosi nei cunicoli di un Labirinto nuovo, misterioso, affascinante.
La ricordo perchè è da tanto tempo che non la ascolto. Ad esempio: c'era Mr. Want; Shadow Zone; Cure Me. Pipes & Flowers non è mai stato un album perfetto e imprescindibile, ma nel suo insieme era una bella gemma musicale. E poi c'era The Marriage, che credo rimarrà la mia preferita sempre e comunque.
Le ascolto dal vivo. E' un percorso a ritroso nel tempo, a ciò che mi piaceva. Le Hexe, dopotutto, sono state una cover band di Elisa, anche nelle cover (vedasino What's Up, Wuthering Heights che avremmo dovuto fare, e Calling You che eravamo a Finale a berci il 120% di tutto e secondo me vale eccome). Sono esaltata dallo spettacolo, dalle sensazioni del ritrovamento.
Si ripensa a 7 anni fa all'Alcatraz (e c'era il nucleopiùnucleo delle Hexe, e vedi che ritornano sempre?). Ora il Forum è quasi pieno, ci sono le trombette da stadio (ma un pò di - non dico gusto - intelligenza??), lei è concentrata a cantare, cambiarsi d'abito e non morire nella tuta di latex. Per fortuna che ci sono i ballerini e la nazionale di ritmica e le luci e lo schermo e le parole di Jim Morrison (che danno sempre un certo tono).
Io sto lì a chiedermi se ci è o ci fa. Prima ci era di sicuro. Oggi chissà. Forse si cambia, e ha un senso cantare Broken, Stay, Gli Ostacoli del Cuore, e altre cose di cui ho perso il conto.
Sono i pezzi su cui si finisce tutto. La mia esaltazione temporanea si affievolisce. I crediti sono fatti a luci accesissime. Per carità, ben vengano, però dopo luci suoni colori ombre e delitti non ci stava proprio. E poi ci sono i bis annunciati che poi bis non sono e non si capisce perchè li si chiami così e devo dire che mi hanno anche stufato che fanno metà concerto illudendoti della fine. Insomma, siamo onesti dai. Oh.
E quindi si finisce con quei pezzi poco significativi. Anche se la gente si alza in piedi e inneggia a Elisa come se fosse una diva, mentre io e Vero siamo sciallatissime nei nostri posti al primo anello pagati da secondo, coi piedi sui sedili di fronte, con occhio fisso sul palco e a metà pure nel backstage, tanto che vediamo sempre prima quando arrivano gli omini coi palloncini in testa e le tutine argentate e il ventilatore raffreddante. E insomma, sono soddisfazioni.
Oggi mi trovo qui e mi chiedo che ne è dei dischi che ascoltavo. Pipes & Flowers, Asile's World, Then Comes The Sun, Lotus (con riserve). Mi ricordo che ieri sera su It Is What It Is io e la mia socia abbiamo avuto la pelle d'oca. Spero che riguardando il video rinascano le stesse emozioni.
Stasera me lo godrò tra le pareti domestiche, pensando. Ascoltando. Dormendo.





this is the marriage of
silence and love
here is the temple where
i come to learn
here are the eternal little
things that i always loved
here sometimes i meet the man
who can see what i see
live what i dream
and be the way he seems
(Elisa @ Dutchforum, Assago - 7/10/2008)

venerdì 3 ottobre 2008

Il mio diamante più splendente


Questa è la serata delle voci ammalianti. Quelle che con la sola loro presenza sono capaci di creare mondi.
Tutto ha inizio con Clare & the Reasons, “ragioni” di sicuro ben motivate da gorgheggi che conducono ai fumosi schermi americani del secondo dopoguerra; ma qui gli intenti sono altri, e la Nostra riesce a cinguettare con trasporto per almeno 5 minuti il solo nome “Obama”: non puoi che sorridere e prendere parte al gioco.
E mentre hai ancora nelle orecchie il suono della sua voce vellutata, ecco che il palco viene addobbato di bandierine a righe bianche e nere, i musicisti (sempre gli stessi) rivestiti di più baloccanti abiti da scena, e infine entra lei, Shara, la Donna Con la Acca Di Più, come poi sospirerà a luci spente.
Lo spettacolo, perchè di spettacolo si deve parlare, è qualcosa a metà fra il numero di magia di un circo e un reading di poesie. Ad un certo punto Shara nomina George MacDonald e il suo libro per bambini (At the Back of the North Wind), una storia - dice - per alcuni aspetti simile all’Alice di Lewis Carroll; qui si apre un mondo. Non puoi che convincerti del fatto che tutta la sua verve, il suo immaginario e soprattutto la sua musica siano votati ad un gioco con ciò che è surreale, romantico, giocoso, deformato, incantato…Una realtà alternativa, come il Paese delle Meraviglie di Alice.
Lo vedi negli abiti. Sono in stile anni Venti, ma un pò più neri e misteriosi…Il viso è dipinto di stelle e luna argentate, magiche. Come se si trattasse di un gotico passato da rivivere attraverso una di quelle palle di vetro innevate. Anche la sua musica è così, ricorda un cantato che esce rotto e incantevole da un vecchio grammofono, contrapposto però a basi sintetiche leggermente beat. Ed eccola infatti che si muove con disinvoltura fra campionamenti, marimbula, chitarre, distorsioni, mentre gli altri 3 musicisti che l’accompagnano - viola, violino e contrabbasso - giocano fra le possibilità dei loro strumenti pizzicandoli, strusciandoli, graffiandoli. Il polistrumentista Olivier Marchon tira poi fuori carillon e sega, e sembra di essere al concerto delle Amiina. Shara, eterea e dolce, si trasforma di volta in volta in grintosa rocker, bambina prestigiatrice (pensate, ha un coniglio nel cappello!), poetessa. Chiacchiera col poco pubblico presente - dopotutto è come aver incontrato la propria amica al pub sotto casa - e incita a supportarla con più energia. E come fare? Quando i suoni cominciano a dipanarsi, sei proiettato in un’altra dimensione. Solo a fine brano scroscia l’applauso, ti risvegli, e le vuoi dimostrare tutto il tuo apprezzamento. Il boato è tanto più disorientante dopo l’ultima mirabilia: ombre cinesi improvvisate dietro ad un semplice lenzuolo diventano due simpatici burattini innamorati: volano via assieme ad uccelli colorati, leggeri come la musica che ci trasporta all’uscita.



E' meglio essere


Caro Signor Finn, mi chiedo perchè hai deciso di fare proprio questo tipo di disco. Non me ne volere, sai, solo che è da un po’ che mi scervello su come comprenderti. Mi è piaciuta tanto la tua prima canzone, Better To Be, con quel suo ritmo di basso saturato che si riversa sull’innocua chitarra acustica. Fa venire voglia di tenere il tempo con qualsiasi oggetto capiti sottomano. La seconda traccia Second Chance, poi, è proprio ciò che il titolo suggerisce: ti do una seconda possibilità di stuzzicarmi con una divertente batteria simil-garageband e un cantato etereo che non si può negare, ti ritrovi a dover ripetere…”Remeber me / honestly I don’t / remember who you are”.
Però. Già lì cominci ad essere un pò troppo ripetitivo. Guarda: io ti darei anche il beneficio del dubbio, ma quando la tua voce si sforma su molteplici doppie voci, quando la chitarra acustica di sottofondo e la batteria sincopata si protraggono per altre 12 tracce, non trovo molti motivi per ascoltarti appieno. Sai, assomigli molto a cose già conosciute come Frames, Veils, Flaming Lips. Poi mi sovviene che sei figlio di Neil Finn, frontman dei Crowded House, e in effetti vedo che qualcosina deriva anche da lì, probabilmente perchè da qualche tempo suoni insieme alla band di tuo padre. Ecco, cerca di non essere uguale a nessun altro.
Questo è il tuo primo album solista e non è poi così male. E’ legato alla terra e genuino. Hai deciso di registrarlo interamente in analogico perchè fosse ancora un pò ruvido. E la ritmica è sempre trascinante. A qualcuno piacerai di sicuro. Il dubbio sul perchè di questo album però mi rimane, ma facciamo che continuerò ad interrogarti. Forse è questo a cui miravi? Un ascolto che duri nel tempo?

Cantiere


La complessità della trama musicale non può essere resa coi mezzi usuali.
Milano, ultima data del tour estivo: un palco affollato, sette musicisti fra cui due tastiere e un polistrumentista, le basi campionate di cui non si riesce a fare a meno. La musica dei Baustelle è poliedrica e sfaccettata. E’ da ascoltare. Le voci si distinguono perfettamente ed è lì che si catalizza l’attenzione. Sulla figura vagamente nerdiana - ma si dice cantautoriale - di Francesco Bianconi e sul fascino della morbidezza di Rachele Bastreghi. Vieni rapito dalle parole, quei versi che sanno farsi ascoltare e quelle immagini di varia umanità su cui riflettere senza sosta…
Il pubblico è indefinibile, capita che qualcuno non capisca testi un pò più corposi di un pezzo da grande stadio (”L’aereoplano? E non c’è l’elicottero?”). Bianconi si lancia anche in battute umoristiche su banane e sposalizi ma non non ci può proprio far niente, è sempre così: non si scompone più di tanto, si nasconde dietro ad enormi occhiali da impiegato anni Settanta e lascia spazio alla collega quando è il caso.
Iniziano con Antropophagus all’insegna del nuovo album, quasi non credessero che tutta la gente che riempie il vasto Palasharp sia là per loro al di là del successo di Amen. Spiegano i vecchi brani: “questa canzone è nata per rimorchiare, e poi invece è diventata l’inno dei fans più filosofici”. E pensi che se dovessi essere rimorchiata così, bè: “L’unica cosa che ho / è la bellezza del mondo / La sola cosa che so / è che vorrei conservarla”… vai a rimanere impassibile.
L’atmosfera si fa sempre più paradossale, la tensione sale e parole potenti devono combattere con un ritmo trascinante che viene dal sottosuolo musicale. Raggiungiamo livelli di parossismo, perchè quando tutti quanti si alzano a ballare e saltano è proprio su La guerra è finita mentre si canta “Vivere non è possibile / Lasciò un biglietto inutile / prima di respirare il gas”. E forse si può scusare chi ha ballato pure su Il corvo Joe. Forse.
Ma quello che aspettavamo era il gran finale con Baudelaire. La coda elettronica si espande ben al di là della versione su disco e, mentre si riempie di suono e ritmo, sfocia nel rumorismo di Bianconi che, collegato al sintetizzatore, rimane solo sul palco come novello vate. Ricordandolo mentre poco prima allargava le braccia sorridendo poeticamente al suo grande scrittore. Amicizie intellettuali che sfidano la morte.
Sarebbe perfetto finire qua, ma un bis è d’uopo, pur se nella Milano di un lunedì che deve tornare a casa presto. Non ce ne vogliano i cari autori, ma la metropolitana si appresta a chiudere e domani ci si alza alle 7. Forse avremmo potuto prestare più attenzione al secondo Momento-Malinconia che apre con Un romantico a Milano e chiude ipso verbo su Andarsene così. E’ la fine del tour, ripete Bianconi, e si è un pò più malinconici. Ma è da tempo che a gruppetti ci si allontana sempre più dal palazzetto, ed è un peccato non rendere omaggio alla fila dei musicisti ormai schierati a bordo palco.
Luci accese, manifesti staccati, in corsa verso la macchina.



Testare dischi


Mi diverto a testare i dischi su certe mie conoscenze: c’è quella che adora tutto quello che la fa muovere e ballare. C’è il suo compare che si infervora per chitarre movimentate e un pò funky, batteria sperimentale. Poi c’è quello che odia i colori, l’elettronica minimale, tutto ciò che strizza l’occhio al pubblico british-indie.

Ebbene, è bello vedere come ognuno di loro, gusti musicali molto diversi, reagisce alla radio che da ben 5 mesi sta mandando in onda quella canzone, Great DJ.
Mi sono affezionata alla canzone, e incredibilmente pure agli altri due estratti dell’album. Non faccio tempo a scoprire That’s not my name che mi ritrovo a canticchiare Shut up and let me go. E ascoltandoli insieme agli amici che li apprezzano (tanto per cronaca, tutti tranne l’ultimo), i tre si ritrovano nella nostra ideale compilation del 2008.
E va bene: 3 su 3 è un buon motivo per comprare l’album. Parigi. Fnac e Virgin (per non far torto a nessuno) fanno prezzi concorrenziali. Lo dico solo perchè mi sono tenuta le ingombranti etichette che ricoprivano la copertina. Giusto: visto che la grafica si rifà al collage e alla casualità, la confusione dei messaggi c’azzecca un bel pò. “De loin le meilleur groupe que l’Angleterre a produit depuis des années - NME”. “Inclus le tire Shut up and let me go, musique de la nouvelle pub i-pod”. “Includes That’s not my name and Great dj“. Babilonia. Però sono convinta. Mi piace farmi condizionare dal packaging.
Dei testi nel libretto non si capisce nulla. Il disco scorre, aspetto con ansia i miei gioiellini mentre il resto non lascia troppi segni. Mi rimane impressa Traffic Light, già nel titolo paradossalmente lontana dai ritmi incalzanti di una nuda chitarra, la giocosa tastierina, il testo ripetuto ipnoticamente.
We started nothing dura sui 6 minuti, e non ti stanchi di ripetere all’infinito “I started nothing I wish I didn’t” con una vocetta scanzonata che corre su due ritmici accordi in croce. Non serve molto per creare musiche intelligenti. Ma saper mettere in ordine i suoni, avere quelle piccole idee che illuminano il brano, per questo sì, ci vuole una sacrosanta furberia.


giovedì 4 settembre 2008

Se vogliamo parlare di celtica


1996
Natalie MacMaster WITH Cookie Rankin (non Featuring).
Un video un pò rock, ricoperto di simbolismo talmente surreale da non aver senso (l'uomo con le bandierine rosse??), e un pò stile Cranberries, non vi pare?
Una canzone che è bella - si possono trovare altri aggettivi? - ed è un piacere riscoprirla. Anche se non la si trova da nessuna parte
.

Ma il testo sì, altrimenti rischio di tornare bambina, e canticchiare barabimidùùù i sandu chismavociiii....
(un pò la stessa cosa, missà)



THE DRUNKEN PIPER
(Far am Bi Mi-fhin - Where will I be)

Far am bi mi fhìn is ann a bhios mo dhòchas
Far am bi mi fhìn is ann a bhios mo dhòchas
Far am bi mi fhìn is ann a bhios mo dhòchas
Far am bi mi fhin bigh mo dhochas ann.

1. Siubhal air na cladaichean 's a'coiseachd air a'ghainmhich,
Siubhal air na cladaichean 's a'coiseachd air a'ghainmhich,
Siubhal air na cladaichean 's a'coiseachd air a'ghainmhich,
Far am bi mi fhin bidh mo dhòchas ann.

2. Thèid mi fhin is Sine null gu taigh a'phìobair,
Thèid mi fhin is Sine null gu taigh a'phìobair,
Thèid mi fhin is Sine null gu taigh a'phìobair,
'S nì sinn brod an ruidhle leinn fhin air an làr.

3. Fhuair mi fios bho Shìne gu robh tromb is cìr aic'
Fhuair mi fios bho Shìne gu robh tromb is cìr aic'
Fhuair mi fios bho Shìne gu robh tromb is cìr aic'
Ged a bhiodh gach pìobair is fidhleir 'nan tàmh

lunedì 1 settembre 2008

Canzone da dedicare



Dal passato ritorna. Eco di suoni provati in sala prove, ascolti in cassetta anni '90, pensieri sulle gioie passate, voglie di rivalsa, frasi perfette da ripetersi non appena la realtà le conferma.
Fino all'oggi, e alle amiche che ne hanno bisogno.



Voglio che tu sappia che sono felice per te, non mi auguro che il meglio per voi due. Una versione di me un pò più vecchia, è pervertita come me? Fareste sesso in un teatro? Lei parla bene? E vuole avere il tuo bambino? Sono sicura che sarà una madre eccellente.

Perchè l'amore che davi, che facevamo, non era abbastanza per farti aprire. E ogni volta che la chiami per nome lei lo sa che mi avevi detto che mi avresti avuta fino alla morte? Fino alla morte.
Ma sei ancora vivo.

E sono qui a ricordarti il casino che hai lasciato quando te ne sei andato. Non è bello annullarmi. Della croce che porto, e che mi hai dato, tu...devi sapere.

Sembri stare molto bene. Sembri pacifico. Io non sto molto bene, penso che dovresti saperlo. Ti sei dimenticato di me, Signor Falsità? Odio scocciarti nel bel mezzo della cena. E' stato uno schiaffo in faccia, sono stata rimpiazzata così facilmente, e pensi a me quando ti scopi lei?
Perchè lo scherzo che hai lasciato sul letto, sono io. E non comincerò a sfocarmi appena chiuderai gli occhi, e lo sai. E ogni volta che graffierò il culo di qualcun'altro spero che tu lo senta.
Lo puoi sentire?

mercoledì 27 agosto 2008

Se questo è l'inizio....





A little over zero...is this the best I can be?
A little over zero...what shall I do just to feel?


I'm gonna be strong....and take it like a man
I'm gonna be strong....I'll smile and say "don't worry it's fine"


Well I hear the music
Close my eyes
I am rhythm
Wrap around, take a hold of my heart


Take your passion, make it happen.






(Courtesy of: Elisa, Cyndi Lauper, Irene Cara, my iPod shuffle)

venerdì 25 luglio 2008

....e 3....





Tokio Hotel.
La Fee.
Nevada Tan.

Non so come prendere la notizia. Forse ribatterei a coloro che: "il tedesco è una lingua non-musicale". Ma loro risponderebbero che questi prodotti non è che siano così decenti.
E però. Fa impressione ascoltare distrattamente Allmusic e ritrovarsi a canticchiare..."vooorbeeei"....


P.S. Le ragazzine che vogliono impressionare i Tokio Hotel con citazioni in tedesco, perlomeno si assicurino di:
- capire quello che stanno scrivendo
- scriverlo giusto!

venerdì 11 luglio 2008

How soon is the nicest thing?




Capita che io mi fissi con una canzone. Non so se è il testo, la musica, o che, ad attirarmi.
Di solito è una canzone che conosco già bene. Non la calcolo troppo, finchè poi non arriva quel giorno particolare, preciso, per cui lei è perfetta.
E' il testo che mi cattura, credo, il momento in cui mi capita di sentirlo veramente. Non posso fare a meno di riascoltarlo all'infinito, ancora e ancora, e torno ai cari vecchi tempi da adolescente, quando facevo cassette con una sola canzone ripetuta all'infinito (chissà se quella con Lemon Tree è stata sfasciata dal troppo nervosismo di chi la ascoltava...).

Divento dipendente. Una sola volta non basta, il circolo della narrazione di quei 3 o 4 minuti è troppo poco perchè il mio ascoltatore interiore ne venga soddisfatto. Dovrebbe essere una sinfonia in 9 o 10 movimenti. Ma deve rimanere così com'è.
E allora via, un'altra volta, un altro ascolto, sperando di non perdere e invece di recuperare la magia e la meraviglia che ho provato quando mi ha colpita per la prima volta. E così la cito ovunque, sperando che ogni giorno risalti come se fosse il primo.

Ma non è detto che ciò che a me appare ovvio lo sia in ugual misura anche per altri. Ciò che un brano significa per te, può essere distorto da orecchie ben distanti. O sorde. O mute.




Domanda agli esperti QUOGologhi


Citare. Quotare. Estrapolare.
Si pone però un dilemma: la selezione operata, che valore ha?

Mi spiego. Se scovo una canzone che mi stimola, posso decidere di citarla in ben tre modi:

- Scelgo una singola frase che raccoglie tutto ciò che voglio dire perchè racchiude in poche parole il mio pensiero. Non c'è bisogno di altro: eccolo lì, il mio prezioso aforisma.
- Scelgo solo certe frasi eliminando quelle che non si attengono al mio pensiero. Soprattutto in una canzone o in una poesia, certi periodi esulano dalle parole che mi servono o vanno in conflitto con il mio personale percorso emotivo.
- Scelgo alcune frasi eliminando quelle che direbbero troppo, che sarebbero troppo dirette rispetto al pensiero mascherato che voglio mettere in atto. Dopotutto, se avessi parole mie molto più esplicite le userei senza remore, senza bisogno di nascondermi dietro ad altrui parabole.

Ecco, come capire quale delle tre operazioni il citazionista sta mettendo in atto?
La citazione è un riferimento nascosto al testo che NON C'E', la punta dell'iceberg, l'indizio, la Presenza contro la Allusione, o invece più semplicemente dobbiamo fermarci a ciò che vediamo ignorando il contesto? Rimanere come uomini platonici incatenati davanti alla parete di una grotta fermandoci ad osservare le ombre prendendole per verità?
E chi non ha capito l'ultimio mio riferimento, come fa a capirmi?

Ecco...Citare è semplicemente portare delle maschere.
Ma per quanto divertente il gioco si presenti ai miei occhi, prima o poi il Carnevale deve lasciare il posto alla quot(e)idianità.

sabato 14 giugno 2008

Perchè la notte....



A 17 anni stavo sulla finestra della mia camera ad ascoltare Because the night.
La versione dei 10,000 Maniacs.
Ascoltavo quella, su una cassettina, e anche 74-75 dei The Connels. La musica mi accompagnava, e mi faceva sperare nel futuro, o anche solo evadere dal presente.

Oggi sono ancora qui alla mia finestra, ad ascoltare la medesima canzone.
E' sabato sera.
Penso a quello che non ho. Un Sehnsucht impellente.
Mi piace il verso:
love is a ring on the telephone.
Il telefono è una parte irritante di questo periodo. E' fonte di gioie e frustrazioni e dilemmi e mutismi.

E si chatta di un amore che forse non esiste,
di sesso riparatore,
della vita che non è mai come te la aspettavi.

Sono sola a casa,
con gli Irishields,
ed è un inutile conforto.
La musica a volte fa male
dice tutto quello che vorresti e non hai
è la voce ai tuoi desideri che nessuno ascolta
è compagna della solitudine.

E come Leopardi sento
rumori in lontananza di vita e festa
Have I doubt, baby, when I'm alone.

A volte si ha solo bisogno di qualcuno che ci desideri.

Because the night
belongs to lovers,
because the night
belongs to us.

martedì 27 maggio 2008

Avvolta nel Sehnsucht


Il difficile compito di rendere poesia in musica. Se ci si pensa, non è mica facile.
Hai un libricino fatto di singole righe, tutte scritte. Devi pensare a come pronunciare le singole parole, le pause l'intonazione gli accenti la velocità. Poi le devi cantare....e pensare a quale musica metterci. Come muoverla sotto le parole: in contrasto, in linea, o di traverso?
Selma era un'ucraina di origini ebraiche.
L'Oriente. Lo senti anche quando non dà avvio alla musica. E' là, sotto le percussioni o due note inaspettate. Si mescola alla tradizione occidentale in modo naturale, non pensavi ti lasciasse così poco sbalordito. E proprio per questo ne sei sbalordito.

Le voci si mettono alla prova. Le vedi cimentarsi con le morbidità delle linee inventate da David Klein. Alla lunga, l'andamento è sempre lo stesso...ma dopotutto come si può biasimare se si tenta di rendere con 12 voci diverse un'unica poetessa parlante, la giovane Selma?

La sua storia mi appassiona. Ha saputo scrivere poesia - di quella da letteratura, eh - a soli 18 anni. Probabilmente ti rimane impressa perchè è proprio a 18 anni che è morta. In un campo si concentramento. Come può non contare, tutto ciò, come può essere la sua vicenda trascurabile? No di certo, è importante, anche solo perchè in quel contesto di significazione c'è qualcosa di più pregno del nostro semplice Oggi.
E così le poesie sono qualcosa di semplice. Niente di trascendentale: il vento fra gli alberi, la pioggia e le stelle. La lontananza, la dolcezza, un pò di tristezza. Cosa li unisce in una forza invincibile?
Il Sehnsucht.

Ich bin in Sehnsucht eingehüllt. Sono avvolta nel Sehnsucht.
Ed eccola.


Du bist so weit.
So weit wie ein Stern, den ich zu fassen geglaubt.
Und doch bist du nah -
nur ein wenig verstaubt
wie die vergangene Zeit.
Ja.

Du bist so gross.
So gross wie der Schatten von jenem Baum.
Un doch bist du da -
nur blass wie ein Traum
in meinem Schoss.
Ja.



Sei così lontano.
Lontano come una stella, che ho creduto di poter comprendere.
E pure sei così vicino -
solo un pò ingolfato
come il tempo passato.
Sì.


Sei così grande.
Così grande come l'ombra di quell'albero.
E pure sei qua -
solo pallido come un sogno
nel mio grembo.
Sì.
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CD: "Selma - in Sehnsucht eingehüllt", World Quintet
Gedicht: "Ja"
Sängerin: Stefanie Kloss

giovedì 22 maggio 2008

Tornare alle origini



Proprio chi non è al cento per cento irlandese può esserlo più degli altri. Come quando vai all'estero e ti senti più italiano che a casa. O in questo caso è la musica che ha scelto te?
Tornare alle origini del suono.
Partendo da New York, passando per l'Irlanda e approdando a Milano.
E' così che per il soffocante loculo girano magliette di ogni tipo, dai Rancid ai Dropkick Murphy's, da Dublin al Festival interceltico, dalla Guinness ai Ramones. Loro si muovono e girano e poi vanno sotto al palco ad agitarsi a morte, finchè il cantante non gli urla un simpatizzante - fuck!
Eeeh, Dave, mi sei un pò nerd. E coi capelli rossi, e mancino.
Però anche in Italia c'è buona birra, ieri ti sei fucking devastated with vino on the bus, e oggi è il fucking birthday del the drummer (un altro). E il violino si muove sinuoso e catartico sotto ai tuoi strilli concitati, No matter where i put my head, i'll wake up feelin' sound again.
Il suono che non senti su disco, perchè devi essere qui. Ballare. Saltare. Niente di che, solo seguire il banjo che inizia, e la concentrata violinista (my wonderful wife...ahh, che commozzzione!) che forgia reel su reel, un pò tutti uguali direte, ma infine poi che importa: muoviti e urla il testo se lo sai. Muovi le tue emozioni, segui la musica che conosci così bene.
Torna alle origini del suono
(Flogging Molly @ Music Drome, 20/5/2008)

martedì 6 maggio 2008

Meditare altre identità




LOS ANGELES (Reuters) - E' stata lanciata oggi una versione sperimentale del sito di social networking MOG.com che ha lo scopo di agganciare persone in base ai loro gusti musicali, una sorta di Myspace.com per patiti della musica.Il sito gratuito, avviato dall'ex direttore marketing di Mtv David Hyman con 1,4 milioni di dollari da investitori privati, richiede agli utenti di scaricare una sua application, MOG-O-MATIC, che cataloga la musica negli hard drive dei computer degli utenti monitorando quello che ascoltano più spesso e quali canzoni sono aggiunte attraverso il download online e lettori musicali portatili.I dati vengono analizzati diverse volte e spediti a pagine web Mog di altri utenti, che sono consultabili dal tutto il mondo online. Gli utenti vengono anche incoraggiati a creare propri blog sulle loro pagine dedicarti alle loro preferenze musicali."Ci sono amanti della musica che non vogliono altro che dire al mondo quello che stanno ascoltando", ha spiegato la portavoce di MOG.com Dana Smith. "Questo è davvero stimolante per persone che vogliono vedere cosa stanno ascoltando altre persone e per coloro che vogliono mostrare il proprio materiale".La società non fornisce suggerimenti musicali in base ai dati ma fornisce link sonori di 30 secondi alle raccolte degli altri utenti così come ad iTunes, negozio musicale di Apple ed al sito di vendita musica Amazon.com.

mercoledì 30 aprile 2008

Berlin aufnehmen


Milano è la nostra città. Ci abbiamo aggiunto Berlino, che per tutti noi è un luogo speciale, un posto importante della memoria. ‘Riprendere Berlino’ ha per tema la riconquista delle cose che si sono perse, il recupero di quella sincerità assoluta che ti porta a volte a mettere in disparte l’etica e la morale. E’ una canzone sul coraggio di non voler essere eroi ad ogni costo, sulla leggerezza di spirito che è una cifra interpretativa del disco e che mancava in dischi più ‘pesanti’ come erano stati gli ultimi due. Per questo anche la canzone ha un tono molto leggero e vintage, con una melodia che assomiglia a quella di ‘Bianco Natale’…”.


[intervista a Rockol]



Luce del mattino, luce di un giorno strano. Pensavi di esser perso e cambia il tuo destino. Non sarebbe bello non farsi più del male? Non sarebbe strano se capitasse a noi?

Anche il paradiso può essere un inferno. Era tutto scontato finchè non sei caduto. Non sarebbe bello riprendere Berlino? Non sarebbe strano prenderla senza eroi? Non sarebbe bello venire ad incontrarti senza aver paura di non ritrovarci mai?

Fuori dalla tua porta, fare la cosa giusta. Essere razionali, mentre ti gira la testa. Non sarebbe bello non farci più del male? Non sarebbe eroico non essere degli eroi? Non sarebbe strano essere più leggeri? Non aver paura se capitasse a noi? Se capitasse a noi.



mercoledì 9 aprile 2008

The right time - once in a lifetime


Dostojevskij si chiedeva se fosse meglio una "banale felicità o una sublime infelicità".
In effetti, non ho mai avuto dubbi nel propendere per la seconda. Sublime. La bellezza che è tale da procurarti dolore, la contemplazione dell'infinito a cui aspiriamo, la perfezione finalmente raggiunta. E, si sa, la perfezione deve pur essere pagata con qualche obolo. Nella diade c'è tutto quello che occorre.
Si è mai vista una sublime felicità? O una banale infelicità?
L'unico momento di sbandamento l'ho avuto quando una mia compagna di classe ha risposto senza esitazione: "io sono felice!". Ho ponderato quello che lei era. Vi aspettate che avesse chissà che? Ebbene no, la sua era una banalissima esistenza.
Ora ascolto una altrettanto banalissima canzone. Felice. Con molti piripiri. Diamine, è proprio bella.
Forse è questo, forse non si dovrebbe costantemente pretendere che la felicità, sempre e comunque, sia sublime. La ricerchiamo, la vogliamo e a tratti la raggiungiamo. Eppure certi attimi bastano, così racchiusi in se stessi, nella loro semplicità. Perchè "nessuna gioia nasce senza un dolore", e fermarci invece a pensare a ciò che abbiamo, piuttosto che a quello che ci manca, sarebbe davvero meglio.

Così ci si ritrova a ragionare su un film di quelli semplici-semplici. Uno di quelli che in quanto a piattezza di contenuti concorre assieme a tutto un collage di commediole statunitensi adolescenziali. Però, credo, chi sa ragionare, ci ragiona pure su. Tautologicamente detto.
Essere banali, "mercificati", ricchi ed edonisti contro l'essere interiormente benestanti ma cessi. Un'altra contrapposizione, solo che questa non mi sembra altrettanto efficace. Non è vera, non esiste. E infatti la soluzione non può essere che una smaccata perdita per entrambi. Lei sceglie di essere felice "come lui la vuole". Lui fa finta di aver studiato. Sono felici? Banali ma felici? Chi lo sa, alla fine è solo finzione.
Perchè lì chi ragiona e pensa e ha un cuore sembra solo essere infelice.

Ma davvero, per pensare bisogna sul serio essere infelici?





Almeno quando c'è il sole io sorrido.
Giada, oggi c'è il sole, te ne sei accorta?

giovedì 3 aprile 2008

Le note e la notte


Le note e la notte. Nel mio limbo fatto di oscurità una melodia ripetuta in se stessa come io ripeto i miei pensieri sparsi. Domando al buio e rispondono suoni di un mondo mio. La senti la natura dentro? I prati e i cieli. La passione e la purezza. Il mondo in cui vorrei essere ora. Dove non esistono le complicazioni di una mente preoccupata, dove essere al grado zero.
Annullata alla me stessa più basilare.
The last night in Doolin.




specchio di pioggia e asfalto
oggi il mio viso è più leggero
senza pianto
solo acqua e cielo

mercoledì 2 aprile 2008

Passati di verdure

..."When love breaks down", "How can you mend a broken heart", "She's gone", "I just don't know what to do with myself" e....alcune di queste canzoni le ho ascoltate in media una volta alla settimana, da quando avevo sedici, o diciannove, o ventun anni, a oggi. Questo come potrebbe non lasciare un segno? Come potrebbe non trasformarti nel genere di persona destinata ad andare in pezzi quando il primo amore se ne va? Cosa è venuto prima, la musica o la sofferenza? Ascoltavo la musica perchè soffrivo? O soffrivo perchè ascoltavo la musica? Sono tutti quei dischi che ci fanno diventare malinconici?

(Nick Hornby, "Alta fedeltà")

A volte mi capita di pensare che certi miei stati d'animo siano provocati, piuttosto che rispecchiati, dalla musica che ascolto. A volte un qualunque oggetto riproduttore di suoni sotto effetto shuffle/random mi propone una canzone che dice esattamente quello che sto pensando. Ma davvero lo pensavo prima? O ho cominciato a pensarlo quando ho riascoltato casualmente il testo di un brano che conosco a memoria ma che non stavo calcolando?
Sono i misteri dei nuovi mezzi di riproduzione musicale. Grazie al random si affacciano alle cervella testi vecchi e nuovi, ascoltati male o bene, ora o domani. O ieri.
Una canzone torna sempre utile; magari prima la ami, ma non è ancora entrata a diritto nella tua vita quotidiana. Poi il tuo cuore va in pezzi, e lei è lì ad aspettarti. Per me è stata "Can't be with you"; ora, quando l'ascolto, non posso fare a meno di sorridere pensando a come quelle parole si siano ordinate in fila fino a giungere ad un senso compiuto, e completo.
Passati. Ricordi di quando scrivevo qui per le prime volte. Ed era già maggio, ed erano passati tanti mesi, ed ancora invece sentivo l'urgenza di dire "Quelle canzoni dicono quello che voglio dire io! Sono da ascoltare! Per favore, ascoltatele! Per favore, ascoltale TU".
Ma mai che sia successo - credo. E poi ora che importa? I passati a volte e per qualcuno sono presenti, ma per altri sono solo passati. Ricordi che seppur ricordati, in quanto ricordi non hanno atti-nenze con l'adesso. E chi può saperlo se in altre teste non è così? Quando si passa al presente davvero? Quando certe assenze sono sincere?
Passati di verdure
Passati delle persone
Passati ad altre cose
Passare un traguardo
Passi in avanti

(Confide in me, tell your story)
Are you terrified to fail?