domenica 5 aprile 2009

Disoccupazione Punk


Il punk è morto, si è detto e ridetto. E in molti casi non ho saputo dissentire. D’altra parte lo slogan (così vero, così sincero) era “No future” e probabilmente lo aveva pensato uno di quei giovani delusi, lì in coda per il sussidio di disoccupazione. Ecco. Sussidio a parte, la storia si ripete in un modo dannatamente ciclico. Quell’esclamazione poteva essere l’equivalente del nostro “C’è crisi”, e ‘unica differenza sta nel fatto che oggi il punk è più un genere che non una filosofia di vita - la quale si è incarnata forse più efficacemente nei Winehouse o Doherty di ogni tipo. Ecco, di nuovo. Accostate questi due micro esempi alle Civet: queste quattro ragazze californiane hanno cominciato, 4 album fa, ad urlare e fare casino, decidendo che ci stava bene, coi loro vestitini aderenti e i capelli colorati. Io non posso smettere di guardarle. Quasi vorrei essere così. Sì. E poi quando si mettono ad urlare “You son of a bitch!” conturbano e trasportano. Uno o due accordi, voce incazzata, batteria martellante e giri risentiti: il mix c’è tutto. Più che “No future” sembra si abbia bisogno di credersi immortali bevendosi una birra dopo l’altra. E io che sono giovane, mi credo già vecchia. Trapassata ben presto alla disoccupazione, senza neanche una Civet a sapermi consolare.