venerdì 14 novembre 2008

Chiara is...



Chiara è in macchina e sta ascoltando i Bloc Party pensando che l'ultimo album non sia poi così male: è stato giusto assecondare l'anima "disco".
Chiara seleziona le tracce che sono più in sintonia con il suo stato d'animo. Sono perfette per il viaggio e la lasciano sulla superficie proprio come vuole lei.
Chiara si immagina un intero videoclip per la canzone: parla di una ragazza che guida in tangenziale, poi ci sono dei flashback.
Chiara calma il suo nervosismo.
Chiara non dovrebbe essere così suscettibile.
Chiara andrà al concerto dei Dr. Dog e magari penserà ad altro.
Chiara però si chiede - semplicemente - perchè.
Chiara riflette sul fatto che abbia tutta l'ispirazione che vuole quando è triste. Però è molto bello sapere cosa scrivere, avere una direzione. Quindi non vede l'ora di arrivare per mettere giù le righe che sta pensando.
Chiara pensa troppo a se stessa in terza persona, soprattutto se le viene da quella cosa che è il Male.
Chiara trova bellissime, anche solo per stasera, Biko e Signs.
Chiara preleva per la seconda volta, ma sa che i soldi non danno la felicità. Solo le persone.

giovedì 6 novembre 2008

Rivivere cammuffati


Inizierei il disco dalla traccia nr.9 O Ein Dear: è lei il punto da cui si sviluppa l’intero Cheer Gone. Dopo, proseguire fino alla fine e poi ri-iniziare dalla numero 1.

Euros Childs è del Galles, il vecchio Galles. Antica terra celtica del sud, essa rivive cammuffata nei cuori dei nuovi cittadini britannici. Non è questo un disco traditional, quanto semmai una pacata passeggiata fra intimi pensieri su vita e natura (quanto segna l’animo quella frase “Even flowers in bloom one day must die”). La voce incaricata di rivoltarli verso l’esterno è una bassa monodia a tratti pure troppo lamentevole. L’architettura sonora, più che costruire cattedrali e monumenti, si ferma alle piccole capanne: chitarra acustica, una leggera percussione giusto per tenere il tempo, a tratti un soffice organo e se proprio vogliamo esagerare un’armonica a bocca. L’evento più accattivante è una Sing Song Song con tanto di banjo e vivace violino. Fedele alla propria terra, non può poi che assecondare il ritmo delle stagioni: prima traccia è Autum Leaves, seguita da Summer Days. E’ come se vivere al di fuori dello stato naturale fosse un’inutile forzatura. L’aggettivo che lo descrive appieno è tranquillo: nella musica, nel cantato, nell’atteggiamento. E’ capace di accompagnare una piacevole gita solitaria ai bordi della città senza forzarla. Nulla di più.
Altri episodi esterni a questo album (Y Mwnci Drwg, Billy The Seagull ) mantengono lo stesso sguardo sul mondo, pur se francamente molto strambo: andate a guardarli - ridetene anche un pò - e poi tornate a tuffarvi fra campi di grano e fiori che appassiranno.

Giocare la propria carta


Notizie scarse, sito ufficiale in costruzione, solo un oscuro album e curiose sessioni acustiche sulla pagina youtube della Cargo. E' Laetitia Sherif, cantante francese che ha cominciato a cantare testi di Yeats accompagnandosi da sola alla chitarra finchè non ha incontrato Oliver Mellano e Gaël Desbois (entrambi componenti del gruppo Mobiil. Andateli ad ascoltare, sono ancor più interessanti), coi quali nel 2004 ha pubblicato Codification - testi propri e un inglese impeccabile.

Non ha niente a che vedere con le tipiche cantautrici d’Oltralpe piene di sospiri e dolci arpeggi: qui ci si muove navigando in quel nuovo miscuglio che è la commistione di indie chitarroso ed elettronica gentile. Questo secondo disco gioca 12 carte che scommettono sul mondo del tutto particolare di Laetitia. Non per niente nel booklet troverete fogli sparsi (pericolo di perderli: molto alto), uno per ogni brano, sul retro l’immagine rivisitata di carte da gioco in versione “la morte è fra di noi”.

Games Over si presenta come disco buio. Sarà la copertina, o i suoni insieme eterei e scarnificati. E’ energetico, poi ipnotico, a tratti catartico. Si passa il tempo molto piacevolmente, rimbalzando fra riff semplici e incalzanti. Ci sono molte sfaccettature, echi di note à la Amiina fino al ritmo dei Ting Tings; un cantato ripetitivo e a tratti svaccato contrapposto a momenti intimi; passaggi delicati e testi arrabbiati.
Il mondo di Laetitia.

Let the beat control you


Il disco che non ha titolo, se non la grande O che racchiude il nome della band.
Ma il problema è un altro, ovvero l’anima del commercio. Pot Kettle Black e Alligator Skin sono le colpevoli, tracce trascinanti che istigano a comprare della birra o ad ammirare concupiscente l’auto più nuova e scattante. Possibile? Il dubbio rimane e se non lo sapessi non mi accorgerei neanche della più grande attrattiva di questa band: la percussionista tiene il tempo ballando il tip tap. E infatti appaiono pezzi come Dust Me Off e Falling Without Knowing, molto eterei e meno caciaroni ma dotati di un trasporto che non manca di colpire nei sensi. Finisce inevitabilmente che vuoi anche tu la pedana su cui si dimena ammaliante la tap dancer Jamie. Fermarti sui colorati video delle loro performance. Andare avanti a canticchiare “Pot kettle! pot kettle black! / Talk that! talk that smack!”.
L’ultimo atto si consuma con Beat Control. Guardate il video girato autonomamente dai bambini della Grade Four International Class: semplice nelle coreografie come il brano è semplice nel ritmo e nell’amalgama. E si finisce così, canticchiando allegri e pensando: “Sì. Lascia che il ritmo ti controlli”.