lunedì 16 novembre 2009

Indie Chic part II





Sto raccogliendo bricioline di superfighità. Sì, certo che la conoscete. Magari siete anche una di quelle. Bricioline che giocano ad essere mulini intenti a far farina contro i quali i poveri mortali possono solo sperare di scontrarcisi.
Non so da cosa derivi tanta spocchia, tanto voler essere più indipendendi degli indie-perdenti.
Tutto ciò che emerge è merda. Tutto ciò che che voi conoscete è amore puro. Salvo poi mollarlo per la prossima roba semi-sconosciuta.
Io so come ragionate, vi vedo coi vostri giudizi affrettati e superiori. Superiori come quelli di bambini che giocano a saperne di più per non manifestare l'insicurezza che li ammorba.
State solo seguendo un'onda.
Vi vedo, devo pensare come voi e aiutarvi nei vostri intenti di dominio del mondo. Ma non siete altro che patinati fancazzisti.

domenica 25 ottobre 2009

Reload?



Se gli anni '90 fossero oggi, sarebbero così.
Se gli italiani avessero orgoglio, non si spaccerebbero per americani.
Ah, ma loro sono così rock..!

giovedì 3 settembre 2009

Noi, orfani disturbati




LepreKIAuna scrive: Qui c'è il disco di Dolores O'Riordan.
Goditelo, e poi rimpiangi i vecchi Cranberries.
Disco fatto bene, per carità. Ma la voce, la voce. Scimmiotta se stessa!!

g* scrive: Beh,se scimmiotta se stessa, il problema è soprattutto suo, e in un certo senso se le canta e se le suona da sole.
Meglio che scimmiottare altri, almeno resta tutto tra lei e se stessa.

LepreKIAuna scrive: No, perchè il problema è lo scimmiottamento.
Sembra una Cher che continua a farsi plastiche.

g* scrive: ...o continua a farsi bionda.
Beh, se la metti così, mi intriga sapere fino a dove può arrivare.
E tutta questa avventura solistsa assume i caratteri dello studio antropologico...
del romanzo di dis-formazione...

LepreKIAuna scrive: Per questo va ascoltato.
Per vedere fin dove arriva.

g* scrive: Bisogna monitorizzarla
e vedere se finirà per essere praticamente innocua o se sarà costretta, alla fine, a dire a tutti noi orfani: scusate per il disturbo!

giovedì 2 luglio 2009

Indie Chic part I

Wavves "No Hope Kids" from Pete Ohs on Vimeo.



Questo è quello che è stato definito:
a) la nuova scoperta indie
b) il fenomeno rivoluzionario
c) un moccioso scassapalle.

Guardo i video e sono combattuta. Il punto è la veridicità di quel suo atteggiamento. Essere rock è andar contro le regole (del buonsenso, dell'educazione, del perbenismo) perchè metterle in discussione è il modo migliore per riflettere su di esse e su di noi. Va bene. Ma quando tutto ciò diventa solo un gioco? Saranno i tempi, ma sembra tutta finzione. Finzione sua e di chi lo ascolta. Ormai provocare non ha più senso, sembra solo scimmiottamento del passato.
Mi sembra che Wavves sia tanto, tanto fumo.

mercoledì 3 giugno 2009

Musica gratis


Il prezzo del CD è troppo alto? Baggianate. Provate a chiedere: "Quanto dovrebbe costare?". La risposta sarà sempre di 10€ (copioni). Sapete? Esistono anche a 4,90€. Ooohhh!
E poi c'è il mondo di internet: musica gratis. Legale. Tanto che ne scarico a manetta e manco la ascolto più. La chiavetta sta straripando e tutto si accumula.
Per favore, gruppi emergenti: regalare qualcosa va bene, fa venire l'acquolina, però non esagerate. Svendere il proprio lavoro non vi farà conoscere più di altri, buttare in mare canzoni che sperate la gente ascolti non è sempre un bene.
Facciamo così: torno a casa, stacco il cavo web e mi ascolto quello che ho già:



mercoledì 27 maggio 2009

Reload #1


MELISSA AUF DER MAUR - AUF DER MAUR

Questo album non vuole avere data. Non vuole neanche avere un titolo, se è per quello. Sarebbe carino se fosse "sopra il muro", ma gli antenati che Melissa dolcemente ringrazia a fondo libretto devono averle fatto lo scherzetto di togliere una E dal cognome. O così piace pensare a me, unica forse a cui piace tutto tutto del personaggio Melissa-Auf-Der-Mau(e)r.

Mi piace il capello rosso, emblema di diversità. Il rosso gioca con la magia.
Mi piace lo strumento a corde, anche se le donne del rock sono, diciamolo, destinate alla sola scelta fra basso e tastiere.
Mi piace la sua storia. Quel passaggio da Hole a Smashing Pumpkins che la vede poi ritrovarsi sola. Uniche immagini del passato, qualche videoclip e vaghi ricordi di gioventù. Poi questo tentativo. In primo piano, le tipiche mosse con cui governa l'amico basso: è convinta, è forte e maschile, è sexy.

Emo.
Scusate la definizione, ma leggete: "Gonna let the lighting tuck me into my bed, electrified and Cherry Red".... "Between my fire sighs and my burning eyes, my heart burns wildly in his eyes". Li ha scelti lei, eh? Ha selezionato una frase per canzone, questo c'è sul libretto.
"Lots of fish in the sea, but is it her or me?". E quanto è adolescenziale! Certo che me lo chiedo anche io, ma forse una frase così la metterei più su un diario che non su un libro di poesie. Eh?

Musica tosta e melodie orecchiabilissime. Un mix efficace, in fin dei conti. Urla e graffi sulle corde, capelli roteanti e rabbia ed emozione insieme.


Ecco, queste sono le prime impressioni mentre lo ascolto.


Sapone vero



Prendi un giorno in cui faresti mille cose. Prendi il momento in cui hai un sacco di fantasia. Anja Plaschg, austriaca, scivola come sapone sulla pelle. Leggera ed eterea, dolce e insinuante, morbosa e fluttuante. La vedi su una webzine straniera che si esibisce alla tastiera, quel suono fatto di tasti ed elettricità: sussurra dolce e poi grida e poi ti strazia; e tu ti chiedi se capirai mai il suo essere così facile e inebriante allo stesso tempo. Suona il pianoforte con la stessa energia di Regina Spektor, ma è più oscura. È una Cat Power meno spigolosa. Sa fare voli pindarici e sognanti come le Amiina, ma non sale mai troppo alle nuvole. E’ industriale e spietata in DDMMYYYY, con le sue elettroniche asimmetriche e cupe. Piacerebbe ai fans degli Evanescence, ma volentieri darebbe loro la merda. Non mi piace fare considerazioni anagrafiche, ma leggere che Anja ha solo 19 anni abbina molti interrogativi su cosa significhi essere geni al giorno d’oggi. Se penso che in terra teutonica “pianoforte goth” vuol dire LaFee, mi stupisco che esista ancora chi sa trovare molto, molto di più da trasformare in note. Prendo una frase a caso: “So viel Pathos muss sein”, così tanto pathos è indispensabile. Mi piace travalicare i generi e chi è ancora capace di stupire. Chi non è classificabile.


Da Intro Magazine:

Perchè la sofferenza degli altri esseri umani è così bella da osservare? Lo sanno di sicuro Gala e Bild [riviste patinate tedesche]. Soap & Skin invece ce lo spiega in maniera diversa. Si dà alla sua arte e al suo pubblico senza esitazione - conserva però un impenetrabile mistero. Arno Raffeiner ha ascoltato il suo meditato silenzio a proposito del primo album.
Un paesino di mucche del 19esimo secolo. Un genio diventato adulto molto presto si perde nella solitudine, nella follia, nell’attrazione per la morte. Come unica possibilità di fuga rimane la musica: il forte richiamo e la potenza del tuono di centinaia di canne da organo. Questo genio, come racconta un libro venduto in milioni di copie alla fine del 20esimo secolo, “Le Voci del Mondo” (”Schlafes Bruder”***), si deve proprio chiamare Anja Plaschg.
Con l’unica differenza che la Plaschg non siede davanti all’organo di un’oscura chiesa, bensì alla tastiera nella sua cameretta, per diventare Soap & Skin, trovarsi nella posizione di scomparire dal mondo e diventare un’unica cosa col suo subconscio.
Timore, commozione, fascinazione, tutte conchiuse in uno sguardo profondo nei reconditi anditi dell’anima di un’artista tragica: rare volte è successo che l’era del Romanticismo sia stata trasposta nell’Oggi Digitale come nel caso di Soap & Skin.
La sua storia non è unica. E’ il vecchio caso del Wunderkind [bambino prodigio], che negli ultimi anni è stato applicato in molti, troppi casi. Nata nel 1990 a Steiermark, gioventù passata in un piccolo paese vicino ala fattoria dei genitori, lezioni di musica dai 7 anni, pratica al pianoforte come una fanatica fin da quando aveva 13 anni e le prime composizioni a 14, poi ha smesso con la scuola e a 16 si è cimentata con l’Accademia di Belle Arti di Vienna. In due anni e mezzo è uscito il suo primo pezzo per la Shitkatapult, che ha provocato lo sbalordimento di molta stampa - dai giornali locali passando per le riviste musicali fino alla più rinomata stampa quotidiana, tutti hanno concordato della grande novità. Così giovane, così talentuosa, così disperata!
Oggi Anja Plaschg è ancora 19enne e pubblica il suo primo, atteso album. Ne scriviamo senza clichèe (la diva tragica), senza dubbi (di essere voyeuristi, ma tentando di guardare comunque) e soprattutto senza troppo pathos. Parlare con lei del suo album non è per niente facile. La sua voce è spesso vicina all’assenza - se proprio dice qualcosa. L’atteggiamento che vaga tra il silenzio basito che si avverte dopo un’intervista con lei, e parole invece mostruose che cadono dalla sua bocca come se niente fosse, è un po’ unidirezionale. E’ come nella sua musica: più si riduce, più è intenso.

www.intro.de



*** “Schlafes Bruder” è un romanzo del 1992 dello scrittore austriaco Robert Schneider. La storia di Elias, un “freak” geniale che suona l’organo in maniera divina e che nell’oscura regione delle Alpi cattoliche del 19esimo secolo viene spinto al suicidio attraverso la privazione del sonno, è diventato un bestseller internazionale.

Cara Jane Eyre...


C’è qualcosa che i Dear Reader non mettono fra le loro influenze artistiche. Oltre a Imogen Heap e Laura Veirs, aggiungerei un pizzichino di Joan Osborne, Sixpence None The Richer e, insomma, cantautrici che sanno tanto affascinare. Se non le conoscessero abbastanza, gliele consiglio. Già, perchè i due Dear Reader si sentono molto fuori dal mondo.
Vengono da Johannesburg, Sud Africa, dove la natura è tanto bella ma astiosa, posto dove le cose le imparano da internet, confrontandosi con ciò che si scopre al momento. Non si erano neanche accorti che il vecchio nome della band, Harris Tweed, poteva andare incontro alle ire del marchio scozzese. Così hanno scelto un bel riferimento alla Jane Eyre di Charlotte Brönte, quella che si affacciava dal libro con un buon ”caro lettore, ora ti racconto la mia storia”. E noi ascoltiamo con molto interesse.
Le suggestioni sono tante, mai scontate. Dearheart è una melodia delicata, una voce che sale vellutata, un piano protagonista. E’ tutto soffuso di simpatica follia, ironia, rinascita dopo l’amore. Oppure si scivola fra note quasi oscure o pompose, lamentando “I’m alone, I’m alone” (e ammettiamolo, a volte una semplice frase soggetto-verbo-aggettivo basta a riempire il cosmo delle proprie sensazioni. Sì, è proprio quello che ci vuole). Le frasi musicali non sanno fermarsi al solito giro e quindi variano ed evolvono e non si fermano. E’ una bella sorpresa, questo duo. E’ un racconto avvincente ed è una buona lettura. Proprio come se Charlotte Brönte, con tutte le sue sorelle, ci richiamasse - in musica - dalle pagine del libro. Varrebbe la pena gustarsi le prossime date in Italia, a supporto di un ospite d’eccezione. Et voilà!

Dear Reader in Italia con
Get Well Soon:
28 aprile 2009 - Controcanto Festival - Ancona
29 aprile 2009 - Circolo degli Artisti - Roma
30 aprile 2009 - Covo - Bologna
1 maggio 2009 - La Limonaia - Fucecchio (FI)

Sogna!



Non vi siete ancora innamorati di Patti Smith ?

Non vivete dei suoi dischi, chessò, Horses, Easter, Wave? No? Ne sono sicura, ben presto di lei vi innamorerete. A Patti Smith basta una frase, un tono, un accenno, a dimostrare la singola bellezza di un attimo, basta quella sua passione capace di incendiarsi infinitamente. Magari stai pensando a quella scenetta strana che hai visto passeggiando per i fatti tuoi e che ti ha lasciato un sorriso sulla bocca senza che tu non sappia perchè: ecco, lei è capace di fartelo capire, il perchè. E’ un essere straordinario che vale la pena incontrare almeno una volta nella vita.

Per questo, forse, invidiamo Steven Sebring, amico che l’ha seguita per 10 anni a partire dalla morte del marito, Fred “Sonic” Smith, nel 1994. Però lo ammiriamo anche, perchè con tanta poca retorica analizza quegli oggetti, i piccoli cenni, le frasi perfette della vita quotidiana di Patti. E’ come infilarsi subdoli nella casa e nel letto di qualcun’altro. O nel backstage. O come origliare discorsi a cui no, le nostre orecchie vogliose non dovrebbero essere introdotte. Come non ammirarla per quel suo essere così cristallina e aperta: Steven e noi siamo suoi amici, suoi complici, siamo uniti in un unico occhio. Poi può succedere che non sia il momento opportuno e la camera venga fermata. Questa è Patti Smith, una donna che sa vivere le proprie emozioni senza perderle in un flusso senza senso.

Ci porta attraverso la New York degli artisti beat come Burroughs e Ginsberg, suoi cari amici, attraverso il passato e i ricordi di chi c’è (Michael Stipe, Flea, Sam Shepard, Kevin Shields) e chi non c’è più (i genitori, il fratello Tod, l’amico di sempre Robert Mapplethorpe), attraverso le difficoltà del ritorno alla scena pubblica dopo 15 anni. E poi attraverso un meraviglioso spirito attivista. Vi viene per caso il dubbio che le sue parole, la sua musica, si siano fermate anni fa? No, ascoltate attentamente: è la voce di oggi, di un’America che non vuole essere rappresentata da un qualsiasi telegiornale in prima serata, che urla “Noi avevamo dei sogni. E abbiamo creato George Bush, cazzo!”.

Patti Smith vive nei cuori e coi cuori della gente. Patti Smith vive per l’arte e il bello che c’è in ognuno di noi. Lo vede, come ha visto i bambini di Milano che si vestivano per Carnevale, quando è venuta a presentare il film. E tutto ciò è talmente bello e allo stesso tempo importante, che guardare e riguardare Dream of Life è solo un continuo tuffo in ciò che vorremmo essere almeno una volta nella vita.

domenica 5 aprile 2009

Disoccupazione Punk


Il punk è morto, si è detto e ridetto. E in molti casi non ho saputo dissentire. D’altra parte lo slogan (così vero, così sincero) era “No future” e probabilmente lo aveva pensato uno di quei giovani delusi, lì in coda per il sussidio di disoccupazione. Ecco. Sussidio a parte, la storia si ripete in un modo dannatamente ciclico. Quell’esclamazione poteva essere l’equivalente del nostro “C’è crisi”, e ‘unica differenza sta nel fatto che oggi il punk è più un genere che non una filosofia di vita - la quale si è incarnata forse più efficacemente nei Winehouse o Doherty di ogni tipo. Ecco, di nuovo. Accostate questi due micro esempi alle Civet: queste quattro ragazze californiane hanno cominciato, 4 album fa, ad urlare e fare casino, decidendo che ci stava bene, coi loro vestitini aderenti e i capelli colorati. Io non posso smettere di guardarle. Quasi vorrei essere così. Sì. E poi quando si mettono ad urlare “You son of a bitch!” conturbano e trasportano. Uno o due accordi, voce incazzata, batteria martellante e giri risentiti: il mix c’è tutto. Più che “No future” sembra si abbia bisogno di credersi immortali bevendosi una birra dopo l’altra. E io che sono giovane, mi credo già vecchia. Trapassata ben presto alla disoccupazione, senza neanche una Civet a sapermi consolare.

mercoledì 4 febbraio 2009

Finire il nostro ascolto



Mivengono in mente il vinile e la cassetta. Quando non si poteva andare avanti o indietro se non con immensa fatica. Mi viene in mente la libreria virtuale sul mio computer, dove una canzone è un mucchietto di byte facilmente trasferibile ai miei migliori amici. E se cerco il modo di collegare questi due pensieri, trovo lì pronto questo disco di Duncan Lloyd. Non me ne ero dimenticata, visto che è uscito nel 2008. Ma ad oggi mi risulta sempre più inascoltabile. Non nel senso musicale, ma "fruivitivo". 100 TRACCE! 10 tracce a canzone. 15 secondi per traccia. Non so se rendo l'idea. Il mio lettore cd salta ogni 15 secondi.
E' a questo che ci ha portato il mondo digitale? Per paura di copie biricchine si scovano tali escamotage? Siamo proprio messi male. Va bene, facciamo questo sforzo. Prima tracci(n)a, primo riff di chitarra. Mi sembra tutto uguale, ma forse è perchè ogni 15 secondi questo riff si ripete, secondo variazioni, canzone per canzone. Duncan Lloyd ha trovato qualcosa che sapeva fare bene e gli piaceva, e l'ha ripetuto a manetta fino all'ultima nota.Il buon chitarrista Maxïmo Park (unico motivo per comprarlo, secondo il bollino rosso appiccicato sopra) si cimenta in un genere diverso dalla sua solita band, infischiandosene di quella bella Our Velocity o di tirare avanti la carretta che non sta più producendo meraviglie come all'inizio. Cambia faccia e si butta su un genere molto più '70s, vintage, direi quasi canzonettistico. La chitarra, manco a farlo apposta, è la protagonista, è spigolosa e non ne vuole sapere di starsene da parte.
Ora vado ad ascoltare le tracce su YouTube: ecco dove è finito il nostro ascolto.

venerdì 16 gennaio 2009

Finire fuori dal bordo


Non è folk. Precisiamolo. Restiamo a ciò che suggerisce la copertina. Vediamo mostri colorati degli schizzi più cruenti su sfondo bianco come foglio di bambino dalle fantasie più crude. Non pensiamo a campi, strade americane al tramonto, a tradizioni canadesi. Anche se dalla Terra dell’Acero si muove, sa già che la sua stanzetta in cui registrava i primi nastri è troppo stretta. Quindi partendosene via coi suoi schizzi per copertine e video, il buon Chad tenta di svirgolare da tutto quello che ormai è pesantemente indie canadese. O folk americano. Inserisce dei pezzettini di elettronica, noise, impazzisce un pochettino (mica tanto), cambia il ritmo per darsi un tono. Però non è saggio cambiare la voce, l’atteggiamento lirico di fondo, e così ci si àncora a tutto quello che già c’è, buttiamo lì Flaming Lips e Arcade Fire ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo, quasi infinito. Questa parte non ci interessa. Può essere un bel punto di partenza, l’inizio della riflessione, ma il momento cruciale si sviluppa più avanti sulle tracce più pazze e scatenate, perchè è lì nel passaggio che si coglie uno sbandamento capace di agitare e solleticare. E’ giusto sporcarsi. Contaminarsi. Forse c’è, in Canada, un foglio intonso e bello candido, ma il tratto dei pennarelli di un bambino che conosce il mondo finisce molto spesso fuori dai bordi.