mercoledì 4 marzo 2015

Quando riordinare diventa l'occasione per trarre delle conclusioni filosofiche




Riordino il mio nido, quale che sia. La casa della mia adolescenza o quella del mio diventare adulta. La scrivania. Seguo il metodo Konmari, una scusa che ha attirato la mia attenzione capitando nel momento giusto. Ma guarda un po'. Compro il libro e scopro che: 

"Riordinare, tanto per iniziare, è come fare l’inventario delle cose che ci piacciono davvero, anche perché le cose che possediamo raccontano la storia delle scelte che abbiamo fatto nella vita" (via Huffpost).

Così scremo, riduco all'essenziale, cerco la verità sotto alle troppe cose che si sono accumulate nella vita. Soprattutto quelle dimenticate in qualche armadio a casa di mia mamma. Sembra, dall'esterno, che sia stata solo presa dalla febbre del "gettar via" indiscriminatamente. Ma no: sto riducendo le cose a solo quelle che mi fanno felice. E non è una cosa facile. 

Ricordi, regali, sono la categoria più difficile, dice il Metodo. Carte, suppellettili, scorte, progetti da "potrebbe tornare utile", sono tutte cose che creano solo rumore. Via. La soluzione è semplice: il ricordo vive in te. Qualcuno resta fisicamente, altri sai che rimarranno in te, spiritualmente. E tanto basta.

E poi c'è la parte di storytelling: l'autrice si scopre riordinatrice a 5 anni, e sebbene sembri una cosa assurda, mi scopro stranamente simile.

Ricordo quando da piccola passavo il tempo a lavare i piatti nella mia vecchia casa, tutta contenta di poterli riportare ad una lucente pulizia. E le volte poi quando con mia mamma facevamo un saccone di giochi da dar via, riequilibrando lo spazio vitale in quella casa allora per me enorme. O le tante ore passate a riorganizzare le mie cose in modo che sembrassero più ordinate. Quando mi sono accorta che mia mamma mi diceva "riordina la tua stanza!" e io sorridendo le facevo notare che era più ordinata del suo salotto.  

Quanto tempo ho passato a riordinare?
Cosa cercavo veramente?
Penso che la risposta sia piuttosto ovvia. Questo articolo la riassume molto bene:

Se c’è qualcosa che proprio non riusciamo a buttare, riflettiamo, analizziamo a fondo le ragioni che non ci fanno separare dalle cose. Si tratta di attaccamento al passato o ansia per il futuro? “Affrontare le proprie cose, selezionarle – spiega Marie Kondo – può essere doloroso, vi costringe a confrontarvi con le vostre imperfezioni, con le scelte discutibili che avete fatto nel passato. Esaminando ciò che possediamo saremo in grado di capire quello che per noi è importante. Questo procedimento ci aiuterà a identificare con chiarezza i nostri valori e a ridurre la confusione che ci attanaglia quando dobbiamo fare scelte di vita”.

Sto diventando grande. Tra poco è il mio compleanno (ben 32) e non ho idea di come festeggiare. Cosa mi renderebbe felice? Cosa si adatta allo spirito di un momento in cui tutto sembra cambiare, farsi più difficile, e rischi di perdere persone per i più disparati motivi?

Non so se lo scoprirò riordinando, ma spero succeda passando alla fase di rinnovo. In tutti i sensi.


"Sono un nido sui rami d'inverno.



martedì 30 dicembre 2014

Natale è passato


Natale è passato, il nuovo anno non c'è ancora, e mi manca una musica per questo limbo.
Ho almeno 10 dischi natalizi, di qualunque mood. Nessuno per l'anno che finisce e quello che inizia.

Potrei darmi alle compilation da party di fine anno. Questa non è poi così male. E' felice, ci sono gli evergreen.
Oppure potrei scovare brani che parlano del nuovo anno (anche qui)- classiconi del pop-rock, insospettabili, o semplicemente cose che ti passano fra le orecchie da sempre e non te ne eri mai accorto.

Forse fra questi si trova la risposta, o anche semplicemente un compagno.


venerdì 25 luglio 2014

Da Patti Smith a Irene Cara





Il post dovrebbe partire dai C.S.I. Non li conosco abbastanza da metterli in un titolo, ma questo è merito loro, della serata di "ex-CSI" con Angela Baraldi alla voce. Voce e movenze che ricordavano una Patti italiana fatta di poesie, musica e rivoluzione. Vagava purtroppo nell'aria la nostalgia canaglia di tempi che furono, quando le chitarre erano armi, e le parole muovevano il pubblico emiliano. I partigiani, adesso, sono solo un ricordo di due generazioni fa, e le paranoie della provincia (che non sembra la nostra, di un pubblico al limitare del milanese) sono difficili da svegliare. Suoni quantomai attuali, elettroniche e bassi potenti, intensi e pesanti, non solleveranno le masse. O chi è più giovane.

Davanti a me, tre ragazzi. Sto diventando indisponente e vecchia, credo. Il primo cantava a squarciagola, e lo riversava tutto urlando ai suoi compagni nelle orecchie, perfino i singoli riff. Si sporgeva, si dondolava, aggressivo, cercando risposta. Il secondo, sopracciglia appena rifatte dall'estetista e sigaretta elettronica sbuffante, gli sorrideva tirato cercando di rassicurarlo, e chissà cosa riusciva a cogliere della poesia del momento. Il terzo veniva come sballottato fra i due, cercando di entrare nella dinamica, ma essendo venuto lì, in fondo, solo per far casino. Alla prima occasione è andato a farsi una birra.
In cosa avranno creduto, ieri sera? Nella possibilità di un domani migliore? O nelle meravigliose proprietà galvanizzanti della birra?

A corredo, Giorgio Canali che ricorda ben quattro volte di comprare qualcosa al banchetto. Alla prima è simpatico: "ci sono dei dischi di merda e delle magliette di merda: fateci campare". Alla seconda il gioco comincia a incrinarsi: il concerto non è concluso e siamo qui per la musica, santo cielo. Alla terza lo compatisci un po', anche perchè punta sui "quattro pensionati che sono qui sul palco stasera". Alla quarta glielo prometti giusto per farlo stare zitto.

I quattro pensionati, va detto, si salvano alla mezzanotte: le casse vengono spente, l'ultimo pezzo è improvvisato fuori scaletta, eppure loro continuano a suonare. Niente di che, ma il gusto leggero è quello di una piccolissima contestazione.

Ho pensato a Patti Smith, dicevo. Me la ricordava la cantante, e me l'hanno ricordata suoni e parole e liturgie. Ho ripreso mentalmente il suo libro Just Kids. Memorie di una New York squattrinata, dove un piccolo oggetto era una conquista. Un libro era un talismano. Con una nuova camicia impersonavi chiunque. Da una penna indiana scaturiva una poesia. Morivi di fame, ma trovavi il modo di fare musica.

Take your passion, make it happen.

Per me è ovvio, è un mantra. Eppure di questi tempi è così difficile...
Ti dicono che ce la farai, che basta insistere. Lo dice chi c'è riuscito, ma no, non è vero che sia possibile per tutti solo perchè è riuscito a te.
E così continuo a ripeterlo per me e per chi ho vicino: continua e insisti, fai in modo che accada. In this world made of steel, made of stone. Lo so. Ma sono sicura che ce la farai.







mercoledì 4 settembre 2013

GLI ZOMBIE SIAMO NOI




Restare a Milano d'estate. E ti ritrovi a pensare agli zombie, parlandone con un altro esperto e, perchè-no-diciamolo, sociologo, qui detto G*, grazie al quale ho integrato qualcosina del mio articolo. Qui la discussione completa.


Quest'estate abbiamo visto il nuovo World War Z di Brad Pitt, coi suoi zombie superpotenti che corrono come missili e creano montagne umane alte dei palazzi. E se i concetti di "zombie-che-corre" e "virus" erano già stati affrontati ampiamente sul grande schermo, è a quello piccolo che ci rivolgiamo per capire che cosa diavolo sta succedendo.

Partiamo dalla regola fondamentale. Gli zombie ti mordono per mangiare, divorarti, spolparti ben bene fino all'osso. Il principio-cardine è cercare bulimicamente di impossessarsi della forza vitale (dell'anima e dello spirito) dell'essere vivente, cosa che egli ahinoi non ha più: il mordicchio fugace che tenta la diffusione del morbo è del tutto insensato, capite?! Eppure noi ce lo spieghiamo così, come un virus. Pensiamo forse che, essendo qualcosa di scientifico, possiamo sconfiggerlo. Illusi.

martedì 27 agosto 2013

LASSU' AL LAGO




Com’è – e cos’è – questo Top of the Lake passato quasi inosservato? E’ qualcosa che non potete farvi mancare. Se Twin Peaks fosse oggi, si anniderebbe proprio qui, nella misteriosa (e fittizia) cittadina di Laketop, Nuova Zelanda, dove Elizabeth Moss diventa Dana Scully. E fine dei paragoni, l’unica altra magia che troviamo appartiene alla Natura, regina incontrastata della regia di Jane Campion.

La miniserie di 7 episodi è, a dire il vero, più un lungo film piuttosto che un prodotto televisivo. Tanto che al Sundance Festival è stato proiettato non-stop in un’unica giornata (prima serie ad avere l’onore, ma dopo tutto è un prodotto del nuovo canale Sundance Channel – ops!) e che in questi giorni è in corso una maratona in onore delle 8 nomination ottenute agli Emmy.

Un prodotto così, qualche premio se lo porterà a casa.  Lento ma sorprendente, è un profondo trattato sugli esseri femminile e maschile, sui loro contrasti ma anche sul bisogno reciproco, fino a una ricerca del Sè che diventa impulso primario di sopravvivenza. A partire da Tui, dodicenne rimasta misteriosamente incinta, la trama si dipana come un filo che passa per Robin (E. Moss, detective incaricata del suo caso), Matt Mitcham (lo strano padre di Tui), la Comune di donne guidata dalla visionaria G.J., e l’intero sistema maschilista/repressivo della cittadina. Dove nessuno è al di fuori di ogni critica o debolezza.

L’ideale sarebbe guardarlo al cinema – intanto il 19 agosto è uscita l’edizione inglese in DVD. Buona visione!


da: Toylet.it

ALLA SCOPERTA



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lunedì 1 ottobre 2012

Salvare i remi




Certi dischi sono costruiti attorno ad una sola traccia valida. Dischi pop, per lo più. Dove è consuetudine il riempitivo.
Da lei, ecco, non me lo aspetto mai. E si ripete invece puntualmente. La scialuppa di salvataggio c'è sempre, per fortuna. Te la cavi comunque, oh Regina.